Ottobre 2053 & Dicembre 2053

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  1. NickDaftPunk
     
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    :Valérie: :Martin:



    Era ottobre, un venerdì per l’esattezza, il 24.
    Dove vai Vale?
    Esco, ho appuntamento con Denise
    Denis? E perché è venuto fin qui?
    Ma no papà!
    Esclamò Valérie
    Che scocciatura
    Aggiunse a voce bassa.
    Scese le scale fino a toccare il pavimento del piano terra.
    De-ni-SE
    Ah! Ho capito! Potevi dirlo meglio, eh! Va beh, vai pure
    Rispose Martin dopo averla osservata con aria un po’ disperata
    Perché mi guardi così?
    Chiese Valérie un po’ preoccupata, spalancando appena le braccia e guardandosi i vestiti
    Ma no niente
    Martin aveva evidentemente la testa altrove, così se ne andò verso l’ingresso con aria seria, prese il cardigan disegnato da lui stesso e lo indossò. Passò alla figlia la giacca
    Esci anche tu?
    Mh mh, ho un po’ di cose da sistemare in ufficio
    …capito
    Rispose Valérie indossando infine la giacca e odorando intensamente l’aria attorno a loro due satura del profumo familiare e tranquillizzante del padre.
    Martin prese le chiavi di casa che tintinnarono insistentemente dallo scaffale fin dentro la tasca posteriore dei suoi jeans.
    Noi andiamo!
    Esclamò dunque “il direttore”. Dal profondo della casa emerse un “ok”
    Ah Ryu mi raccomando, Kymo esce un’ora prima te lo ricordi?
    Sì!
    Ottimo, possiamo andare
    Padre e figlia uscirono dunque di casa
    Dove devi andare?
    Qui vicino…a due isolati
    Ok. Non fare troppo tardi va bene? A sta sera, e mi raccomando prudenza!
    Ciao!
    Valérie si fermò alla fine del viottolo che conduceva alla sua casa, osservando suo padre che alla fine della via scomparve con un flebile “crac”
    *Ma perché non si materializza da qui!?*
    Pensava inevitabilmente ogni volta Valérie.
    Si strinse nella giacca incrociando le braccia mentre una folata solitaria di vento si aggirava per i viali alberati. Poi la ragazza cominciò a camminare nella direzione opposta a quella del padre, ovvero verso destra.
    Siccome era uno dei primi freddi la gente se ne stava chiusa in casa, e in giro regnava calma totale, desolazione, o quasi. Valérie pensava alla scuola scozzese che stava frequentando da Settembre, pensava soprattutto alle nuove-poche-persone che aveva incontrato. Mentre naufragava tra i corridoi di Hogwarts ricevette un sms al cellulare che, con la sua vibrazione, la riportò a New York.
    Denise.
    Denise era la migliore amica di Valérie sebbene avessero due anni di differenza e quella più grande fosse proprio Denise, che già frequentava un altro tipo di scuola e un altro tipo di persone: per lei i tempi del liceo erano finiti, da poco, ma pur sempre finiti.
    Denise si era trasferita dall’Olanda all’età di undici anni, e la sua famiglia si trasferì nella New York residenziale dove ancora abitavano. Qualche anno più tardi arrivò anche Valérie che, a “causa” della nascita del fratellino Kymo, si trasferì con la sua famiglia nella stessa zona di Denise, giusto a qualche isolato di distanza. A scuola, poi, si erano conosciute, e ciò che le legò dal primo istante fu l’essere entrambe metamorfomagus.
    Nonostante di caratteri opposti le due trovarono in questo fondamentale legame un conforto, una certezza, uno scambio di opinioni, risoluzione di dubbi. Un’amica.
    Le foglie cadute scricchiolavano in modo preoccupante sotto il passo un po’ lento e pensieroso di Valérie
    “Farò qualche minuto di ritardo, è un problema? Vado a prendere una persona che devi assolutamente conoscere ”
    Valérie lesse e sorrise
    “Tranquilla, me la prenderò con comodo! A dopo!”
    *Finalmente vediamo questo misterioso ragazzo*
    Pensò Valérie senza troppo coinvolgimento, rimettendo il telefono nella tasca della giacca e facendovi seguire anche le mani: faceva comunque un po’ di freddo. Continuò a camminare finché non raggiunse la meta: sebbene si fosse sforzata per impiegarci più tempo possibile, nel giro di pochi minuti si ritrovò da sola nel piccolo parco giochi privo di recinzione. Si diresse sull’altalena dove si sedette e si guardò intorno: praticamente ogni giorno, prima che cominciasse la scuola, in quello stesso parco si incontrava con Masahiro, il ragazzo giapponese che l’aveva fatta innamorare fin dal primo momento in cui si era palesato in casa sua.
    Passarono quindici minuti, poi venti: Denise stava facendo parecchio ritardo e la pazienza di Valérie, si sapeva, era poca.
    Io aspetto fino alle sei, poi me ne torno a casa. Eh insomma, ci vengo dalla Scozia, io non ho tempo da perdere alla fine….
    Disse tra sé e sé mentre cominciava a rabbuiarsi intorno a lei e qualche lampione cominciava ad accendersi tingendo con chiazze bianche il perimetro attorno ad essi.
    E fa anche freddino….
    Alzò gli occhi al cielo per controllare le condizioni climatiche: forse in tarda serata avrebbero sentito qualche tuono. Tornò a guardarsi intorno: non le piaceva molto stare lì, era abbastanza pericoloso.
    Poi sentì la voce familiare di Denise ancora prima che questa apparisse da qualche parte. Così subito Valérie si alzò per farsi vedere e per cercare di vedere a sua volta. La sentii anche ridere.
    *Uff….E dai, ma dove sei!*
    Pensò guardandosi ancora intorno.
    Ah! Eccoti! Ciao! Non ti vedevo!
    Esclamò dopo un po’ vedendo la sua amica comparire dall’angolo che si formava con la via che costeggiava il parchetto. Era accompagnata da un ragazzo, come aveva avvertito nel messaggio, solo che Valérie non poteva vederlo bene a causa della scarsa illuminazione.
    Ehi!!!!
    Esclamò la sua amica.
    Bastò un secondo però affinché tutto cambiasse.
    Masa…hiro?
    Chiese a se stessa Valérie in un filo di voce mentre i due avanzavano.
    Che..diamine…ci fai con lei?
    Come se le si fosse aperta una voragine nello stomaco, Valérie fu costretta ad appoggiarsi alla struttura portante delle altalene, mascherando il mancamento con un semplice “cambio posa”.
    Masahiro. Il ragazzo che lei credeva di aver conquistato, il primo di cui ne aveva la certezza più certa, era il ragazzo della sua migliore amica. I circuiti del cervello di Valérie facevano fatica a connettersi e a mettersi in azione, c’era qualcosa che bloccava anche loro, forse la paura, l’adrenalina, o più semplicemente la delusione. L’amarezza della sconfitta. La schiacciante vittoria dell’amica.
    Masahiro era diventato l’unica ragione di esistenza di Valérie: era convinta che si sarebbero fidanzati, questione di ore, giorni, forse settimane. Ogni sera si diceva “Ok, oggi non è andata, ma domani, domani porca miseria, sarà il giorno. Me lo sento”, e puntualmente non accadeva mai niente. “Sarà timido, discreto, forse in dubbio per l’età” pensava dunque Valérie di fronte alle mosse del ragazzo.
    Non avrebbe mai potuto immaginare quanto il mondo potesse essere infinitamente piccolo, quanto le persone possano essere legate dal destino. Le coincidenze, le casualità.
    *E’ vero! Lei frequenta la sua stessa scuola!!!!*
    Le balenò in mente all’improvviso, come se una secchiata d’acqua gelida le fosse arrivata dritta in faccia.
    Una smorfia simile a un sorriso sorse sulla bocca di Valérie, che volentieri si sarebbe dispiegata in una smorfia di delusione.
    Le coincidenze!
    Esclamò verso Masahiro
    Non posso credere che sia tu!! Oh Dio! Ahah mi viene da ridere accidenti!
    Valérie!! Cioè, voi siete amiche!? Non è possibile! Come è piccolo il mondo!
    Ecco che dovevi fare oggi, che mi avevi detto di non essere disponibile!
    Denise si fermò, ormai vicina a Valérie
    Voi due vi conoscevate già!??!?!
    E se me lo dicevi prima come si chiamava il tuo ragazzo, te lo avrei detto!
    Hai ragione! Che idiota!
    Valérie guardò dritta negli occhi Masahiro che sorrideva anche con lo sguardo, lui sì che era felice davvero. Era felice di aver collegato le persone, di aver classificato i ruoli, di aver messo ordine. La soddisfazione la si poteva leggere sul suo perfetto volto.
    Il dolore era troppo forte per Valérie. Non poteva sopportare l’idea di averlo perduto, l’idea di averlo lì davanti, a pochi centimetri, eppure così distante, distante anni e anni luce da lei. Era sempre stato un amico, e lei non se ne era accorta. Delusione.
    *Ho perso. Ho perso*
    Scu-scusate ragazzi…io…improvvisamente non mi sento molto bene…..
    Disse quindi, dopo uno o due minuti di silenzio.
    Oh no Val! Che hai?
    Chiese Denise un po’ scocciata dall’idea che l’amica se ne andasse proprio quel pomeriggio in cui le voleva far fare la conoscenza del ragazzo.
    Mah…non so…è lo stomaco, devo aver preso freddo…
    Ah lo sapevo, è colpa del mio ritardo! Scusami!
    Valérie fece cenno di dissenso con la mano
    Ma no, che c’entri….mi spiace, è meglio se vada. Ci vediamo
    Disse in fretta. Si fece largo tra i due e si allontanò velocemente. Ai confini con la strada accelerò talmente tanto il passo da cominciare a correre: prese la sinistra e scomparve dalla vista dei due.
    Ma che le prende? Così, d’improvviso? Porca miseria
    Masahiro ascoltò le parole della ragazza guardando il punto in cui Valérie era scomparsa
    Tranquilla, le passerà…..Non fa niente. Sarà per la prossima volta, no?
    Chiese infine guardando Denise e sorridendole dolcemente.
    La ragazza annuì stringendosi a lui
    Fa freddo eh….andiamo in cioccolateria?
    Ok, ci sto.
    Rispose la ragazza all’invito. Insieme se ne andarono da lì imboccando la via opposta a quella che aveva preso Valérie, lasciandosi alle spalle l’altalena ancora dondolante.


    Valérie fuggì letteralmente via dal parco, ma mentre correva in realtà non pensava ai due. Si concentrava sulla corsa. Non aveva voglia di tornare a casa. Voleva stare da sola, da sola per sfogare bene il suo sconforto. Di certo se si fosse chiusa in camera avrebbe destato dei sospetti, o magari il fratellino sarebbe andato a controllare di persona scocciandola e disturbandola.
    Le venne un’idea.
    Tornò di corsa a casa utilizzando alcune scorciatoie interne. Si diresse al garage e prese la bicicletta.
    *Fanculo tutta questa merda. Fanculo tutti. Fanculo le troie*
    Pensò facendo scattare via il cavalletto. Vi salì sopra e con ampie pedalate si lasciò presto la casa alle spalle.
    Ora, col vento freddo della pioggia in arrivo che le costringeva i capelli indietro, già andava meglio.
    Accorciò i capelli e li colorò di castano, rendendoli mossi. Modificò anche il colore degli occhi in castani, cosicchè nessuno, riconosdendola, avrebbe potuto fermarla.
    Si diresse fuori dalla zona residenziale, ancora più lontana da New York. Imboccò in breve tempo la statale che correva verso ovest: qualche macchina suonò il clacson più volte e con insistenza per avvertirla del pericolo ma lei non se ne curava, continuava ad andare senza fermarsi, l’unico obiettivo era trovare un posto isolato.
    Non me ne frega niente dei pericoli. Se devo morire sarà destino. Porca puttana chi se ne frega!!!!!
    Urlò al vento, l’unico che per ora stava ad ascoltarla.
    Pedalò per un’ora, un’ora e mezza, due, senza sfiorare mai i freni. La strada si stendeva sotto le ruote e davanti a lei come fosse infinita, mentre ormai il buio l’aveva inesorabilmente circondata. Solo il piccolo faretto che aveva davanti le illuminava due metri scarsi di strada. Ma tutto ciò, il freddo, il buio, il pericolo di incidente mortale, non la sfioravano minimamente: forse era impazzita.
    Improvvisamente la strada giunse ad un bivio, quasi invisibile. Lei proseguì per quella direzione, convinta di quello che faceva.
    Mise i piedi a terra solo dopo un bel po’, davanti ad un edificio in pietra mangiato dal tempo di pochi metri di perimetro. Parcheggiò la bicicletta lì e scese. Si guardò attorno: desolazione.
    *Bene*
    Pensò soddisfatta. Tastò nelle tasche interne della giacca e sentì la bacchetta
    *Male che va, mi difenderò con questa. Ma non mi importa.*
    Pensò. Mentre spegneva il cellulare si avvicinò all’edificio e vi passò la mano sopra per percepire la ruvidezza della pietra sul palmo della mano. Fece pressione, si graffiò la pelle e ne uscì del sangue, ma poco. Riportò i suoi capelli allo stato naturale, lunghi e biondi, mentre gli occhi celesti.
    E così Denise era riuscita a conoscere Masahiro, e poi a sedurlo. Non era una novità per Denise sedurre maschi, lo faceva continuamente, o quasi, da un paio d’anni a quella parte. Ma quando si erano conosciuti con esattezza? Prima della festa di compleanno di Martin, di questo ne era certa, perché aveva in mente un vivido ricordo: una sera di marzo, dopo che a scuola aveva avuto un test Valérie si era vista con Denise la quale le stava raccontando della giornata nella sua scuola professionale e del fatto che aveva incontrato un gruppo di ragazzi bravissimi e già ingaggiati in qualche rivista. Valérie ancora non conosceva Masahiro in quel periodo visto che il ragazzo era miracolosamente apparso in casa sua almeno un mese e mezzo dopo. Quindi erano sette mesi che i due si frequentavano. Tre che stavano insieme. E in tre mesi Denise non le aveva mai detto il nome del suo ragazzo. Ma perché? Quale strano scherzo aveva giocato l’inconscio di tutti e tre, visto che nessuno aveva mai indagato su niente?
    Rimaneva il fatto che aveva perso. Rimaneva l’umiliazione di fronte a se stessa, il dolore, il fastidio.
    Lei c’era arrivata. Era lì, già si vedeva a camminare abbracciata a lui. Ok, lui era più grande, ma questo sembrava non essere un grande problema. Aveva certo avuto dei dubbi, “magari non gli interesso”, e infatti i suoi dubbi erano più che fondati: evidentemente Masahiro in Valérie aveva visto un’ottima e paziente amica, dolce, con la quale confidarsi, forse ogni tanto un po’ impulsiva e rabbiosa, gelosa dei fratelli, ma nel complesso una persona squisita. Non era stato il primo, comunque. Ogni ragazzo che Valérie aveva creduto di conquistare, in realtà nessuno di questi era mai rimasto affascinato da lei, che consideravano un’amica o in alcuni casi, addirittura, solo una conoscente. E Denise nel mentre aveva sempre vinto. Era sempre lei a parlare di ragazzi, di problemi, di felicità, di conquiste: Valérie, invece, sempre muta.
    Ma perché non le aveva mai accennato di Masahiro? Perché non aveva mai fatto il suo nome? E perché né Denise né Masahiro avevano fatto lo stesso tra di loro ma con il nome di Valérie? Perché il destino aveva preso quella direzione? Perché Valérie rimaneva sempre con le mani in mano, mentre le altre la superavano facendole letteralmente mangiare la polvere?
    Insicurezza, forse era questo il problema di Valérie. Come si poneva. Fisicamente era perfetta, sì, ma grazie alle continue modifiche che apportava al proprio corpo. Seppur perfetta, la “Barbie umana” era fin troppo consapevole di nascondersi, di mascherarsi, di usufruire anzi di abusare del suo potere. Non si sarebbe mai presentata a Masahiro con i fianchi più larghi, morbidi e curveggianti, il seno più grosso, le braccia più larghe e le cosce che si toccano. Non si sarebbe presentata così a nessuno perché lei per prima si considerava un orribile mostro. Chi sa, forse lo era davvero.
    Tutto le sembrava più chiaro: nessun ragazzo si avvicinava a lei perché percepiva un’atmosfera tesa, segreti nascosti, maschere indossate, ritocchi. A scuola poi in fretta si era diffusa la notizia riguardo alla sua natura-stranamente ciò non accadde per Denise che tanto, anche se qualche volta si ritoccava, era di suo carina e magra-e quindi tutti immaginavano che Valérie, così come si presentava ogni giorno, non era altro che il risultato di una strana magia e di modifiche accurate e mirate: una povera falsa insomma. La perfezione non esiste, “la perfection n'est pas un mot de robot, mais une illusion humaine” come le avevano insegnato in famiglia. Eppure lei non doveva dare molta importanza a questo messaggio in fin dei conti se ogni mattina appena davanti allo specchio cominciava a ridursi e a modificarsi.
    Masahiro aveva percepito il disagio, i complessi, l’incapacità di convivere pacificamente col proprio corpo ma soprattutto con i propri poteri. Si era spaventato, forse? O magari annoiato, sfiduciato? Si potrebbe escludere il fatto che lui non abbia mai fatto un pensiero su Valérie come ragazza per poi essersi ricreduto dopo qualche uscita? Che cosa aveva detto e come si era comportata per arrivare fino a quel punto? Perché nessuno in casa le aveva mai fatto notare niente? Perché tutti lasciavano che si modificasse a suo piacimento senza imporle dei limiti o addirittura proibirle di utilizzare in quel modo i suoi poteri? Perché neanche Denise aveva detto niente? Eppure lei sapeva come era fatta in realtà Valérie.
    Tutto era andato così, in quel modo.
    Nonostante i minacciosi tuoni e il cielo buio e livido di nuvole cariche pronte a scagliare la propria violenta pioggia, non venne a piovere. Rimase fredda l’aria, forte il vento. L’erba alta e incolta che circondava l’edificio tremava con spasmodici movimenti seguendo la direzione delle forti correnti.
    Valérie si sedette a terra, in un angolo dell’edificio, la schiena contro il muro completamente ricoperto da graffiti illeggibili. Calciò con rabbia una bottiglia di birra vuota che rotolò lontano scomparendo nel buio, mentre affossava il volto nella giacca e si stringeva in un abbraccio in cerca di calore.
    Non riusciva a smettere di pensare a se stessa, a chi era. E non riusciva a porre un freno all’odio che tutto insieme era esploso contro di lei: si faceva schifo, si faceva pena.
    *Ma guardati, guardati come vai in giro, non hai neanche il coraggio di presentarti al mondo così come se stata creata dai tuoi genitori! Vergognati! Chi vorrebbe averti al suo fianco, se hai paura del tuo stesso riflesso nello specchio? Chi vorrebbe perdere due secondi a cercare di capirti e apprezzarti?! Nessuno. Nessuno.*
    Chiuse gli occhi per immergersi ancora di più in quel nuovo e denso odio che le era nato dentro e che le invadeva lo stomaco e il petto. Ci sarebbe affogata dentro, probabilmente.
    Quando risollevò le palpebre la prima cosa che fece fu guardare l’orologio. Erano le dieci e mezza di sera: come diamine aveva fatto a rimanere tutto quel tempo così, ferma, senza neanche accorgersi del freddo e del tempo che passava!? In fretta si mise in piedi, e nonostante il mal di testa raggiunse la sagoma della bicicletta. Riacquisendo gradualmente i sensi tolse il cavalletto, cominciò a correre accompagnando la bicicletta e vi montò in sella: non aveva alcuna intenzione di assentarsi da casa così tanto, voleva solo starsene da sola e magari tornare per le otto piantando una innocente bugia, magari avrebbe inventato che si era fermata a cena nella city con Denise e il suo ragazzo, e nessuno le avrebbe detto niente se non un “Potevi almeno avvertire! Ti abbiamo cercata duemila volte, siamo stati in ansia!”. Ora invece si era cacciata nei guai: ma almeno si sentiva molto meglio. In breve tempo la strada sterrata e l’erba alta rimasero alle sue spalle, la statale era vicina. Avendo percorso al contrario il tragitto da cui era giunta si trovò a dover attraversare la strada in piena notte con la bicicletta e a superare il divisorio tra una carreggiata e l’altra. Molto velocemente scese dalla bici e percorse la larga strada tagliandola orizzontalmente, il tutto senza che passasse neanche una macchina. Sollevò con fatica il suo metallico mezzo di trasporto e lo fece cadere sulla corsia opposta. Scavalcò con facilità e rimontò in sella, puntando sulla destra della corsia, almeno lì era più al sicuro.
    Pedalò molto più velocemente che all’andata, il solo pensiero di quello che la aspettava a casa le faceva gelare il sangue ma le metteva lo sprint ai muscoli: era in un ritardo spaventoso, ma era meglio tornare verso mezzanotte che alle due del mattino. Faceva davvero freddo, le mani erano completamente bianche, congelate e saldamente appese ai manubri: neanche questa volta i freni vennero presi in considerazione era troppo tardi per permettersi il lusso di andare più piano e di usare maggiore prudenza. Ancora il faretto le faceva strada su quella distesa di asfalto buia, seppur illuminata da qualche sporadico lampione: era una statale d’altronde.
    Dai dai dai!!! Veloce cazzo veloce! Oh Cristo, mi scuoieranno viva lo so!
    Esclamò preoccupata. Ma quelle furono le ultime parole per quella giornata. Una Ford nera che correva a tutta velocità la investì in pieno e la sbalzò nel fossato che correva al lato della strada. Volò letteralmente, la bicicletta scomparve dal suo campo visivo. Prima che toccasse terra le sembrò di vedere tutto al rallentatore, la macchina che sgommava via e il buio che tornava ad avvolgere con freddezza tutto ciò che si trovava nelle vicinanze. Lei compresa.
    Precipitò in quel fossato, anzi, vi rovinò dentro. Poi tutto venne ricoperto da uno spesso panno nero.




    Ma si può sapere che fine ha fatto?
    Chiese Martin rientrando a casa alle otto di sera
    Ma non lo so!! L’ho chiamata al cellulare ma niente, non risponde! E non so come mettermi in contatto con Denise
    Martin passò velocemente davanti a Ryu e al nonno, andò in salone e prese il telefono di casa.
    Magari è salvato qua
    No, niente da fare, non c’è. Ho già cercato e spulciato la rubrica da cima a fondo
    Sicuro?
    Ryu annuì.
    E va beh, sono ancora le otto d’altronde, mica è poi tanto tardi. Di certo non posso aspettarla per cena ho una fame terribile accidenti
    Cenarono tutti e quattro insieme, Martin, Ryu, Kymo e Daniel. Erano tutti tranquilli, e commentavano a volte aspramente a volte con sollievo le notizie che venivano date in televisione.
    Nove e mezza. Ancora nessuna notizia di Valérie.
    Provo a richiamarla
    Ryu intanto lavava i piatti mentre Daniel era appena andato a dormire dopo aver fatto addormentare il piccolo Kymo.
    Scattava immediatamente la segreteria telefonica, non dava neanche il tempo di sperare che il cellulare fosse stato acceso.
    Martin riagganciò seccato e salì in camera di Valérie alla ricerca di un numero telefonico o un qualsiasi altro tipo di contatto di Denise. Niente.
    Oh Ryu, ma è possibile che non ci sia neanche un numero di Denise in questa dannata casa? Mi sto preoccupando
    Sta tranquillo, lo stiamo cercando, adesso verrà fuori
    Rispose Ryu mentre, dopo aver lavato con cura i piatti, frugava tra alcuni fogli nel soggiorno con aria molto preoccupata sebbene cercasse di trattenersi. Di quei tempi non si poteva stare molto tranquilli.
    Le undici e venti
    Eccolo! Trovato!
    Esclamò Ryu con sollievo alzando in aria l’apparecchio digitale che teneva stretto in mano.
    Martin si precipitò
    Dà qua, chiamo subito
    Disse scuro in volto strappando bruscamente a Ryu di mano l’oggetto. Andò al telefono con passi gravi e compose il numero indicato.
    Sì pronto?
    Sì sentì dopo qualche squillo andato a vuoto
    Denise, sono Martin, dove siete?
    Ci fu un attimo di silenzio dall’altra parte, ma giusto qualche secondo, qualche secondo di confusione.
    Ehm…io sono a casa mia, stavo giusto andando a dormire
    Martin rimase stizzito, il cuore però precipitò violentemente.
    Come sarebbe a dire “SONO a casa mia”!!! E Valérie!?
    Cosa?! Non è a casa? Ma come!
    No! “MA COME” lo dico io!
    Io io non so dov’è! Sono arrivata al parco alle cinque e mezza più o meno e lei se ne è andata subito, diceva di non stare troppo bene con lo stomaco! Ha detto che sarebbe andata a casa e che ci saremmo viste un’altra volta!
    Martin guardò Ryu con aria allarmata e preoccupata. Ryu si avvicinò chiedendo cosa stesse succedendo
    Sei-sei sicura Denise?! Non è che mi stai nascondendo qualcosa vero?!
    Assolutamente no! Dio santo mi sta venendo l’ansia, come potrei dirti una cavolata del genere! La chiamo
    E’ inutile ha il cellulare staccato. Oh porco cane. Ok, grazie ciao
    Riagganciò subito.
    Che c’è!?
    Chiese Ryu spaventato guardando Martin negli occhi.
    Mi ha detto che Valérie se ne è andata dal parco alle cinque e mezza e che era diretta qui perché non stava bene con lo stomaco. MA QUI non c’è! Oddio…oddio che ore sono?
    Ryu guardò in fretta l’orologio mentre sentiva il panico montargli dentro
    Le undici e venticinque
    Cazzo…….Ehi, io chiamo la polizia
    Oh che ansia!
    Esclamò a bassa voce Ryu seguendo Martin. Poi ci ripensò
    Esco, vado a farmi un giro qua intorno, magari se stava male si è accasciata da qualche parte!!!
    Martin annuì, Ryu corse a mettersi le scarpe e il cappotto
    Sta tranquillo tornerà!!!
    Esclamò Ryu prima di guardare la fede nuziale. Uscì di casa quasi dimenticandosi di chiudere la porta.
    Martin, col cuore in gola, agguantò il telefono e si diresse alla finestra: scostò le tende da una parte e osservò Ryu farsi luce con la bacchetta e scomparire. Intanto teneva d’occhio il viale davanti casa.
    La polizia rispose subito e Martin presentò il problema implorandoli di accorrere immediatamente e di darsi subito da fare per ritrovare sua figlia.
    A mezzanotte partirono le ricerche.
    Martin aveva già chiamato Francisco avvertendolo di quanto stesse accadendo, e fece lo stesso con i genitori. Svegliò anche Daniel ma lasciò Kymo nel suo letto.
    La paura lo stava divorando, e ogni minuto che passava aumentava sempre di più un orrendo presentimento, un presentimento di morte. Ryu tornò a casa e, informato delle ricerche della polizia, si lanciò nel gruppo degli agenti aiutandoli. Non gli importava proprio nulla della stanchezza che lo aveva assalito a cena, ora era più sveglio che mai, la paura lo teneva in piedi e con i sensi bene all’erta.
    Mezzanotte e mezza, l’una meno un quarto, l’una. Francisco era arrivato a casa con la sua nuova moto per sostenere il padre e il bisnonno e aspettare Valérie: anche lui si stava morendo di paura, e lo si poteva notare dall’espressione che aveva in volto. Era la prima volta che lo vedevano così.
    Alle due ancora niente.
    Martin faceva avanti e indietro per tutto il piano terra, con un’aria completamente assente.
    Sono perseguitato
    Continuava a ripetersi in sussurri impauriti mentre lanciava occhiate speranzose alla finestra. Ma di Valérie neanche l’ombra.
    Dove sei!??! DOVE SEI!?!?!?!?!?
    Urlò improvvisamente dopo aver aperto di scatto la porta di casa ed essersi precipitato in giardino.
    Dove sei!?!? Che fine hai fatto!?!? VALERIE! Torna a casa!! TORNA QUI!
    Francisco uscì velocemente e raccolse il padre da terra, visto che aveva anche cominciato a piovere molto forte. L’acqua cadeva fitta e dolorosa, nonché fredda, ghiacciata. Faceva male.
    Ci spiace ma le ricerche di questa notte non sono andate a buon fine. Riprenderemo domani mattina alle sette
    MA CHE ME NE FREGA! CONTINUATE A CERCARE ADESSO!! ADESSO DOVETE USCIRE FUORI! MIA FIGLIA E’ LI’ ANDATE A PRENDERLA!!!!
    Ma la polizia se ne andò comunque: erano le quattro.
    Nessuno dormì in casa.
    Ryu, stremato dalla ricerca ma ancora perfettamente vigile, continuava a fare il numero di Valérie nella speranza che il cellulare tornasse attivo. Francisco si era addormentato sul divano, Daniel era in cucina, Kymo ancora dormiva, Martin invece era uscito di casa.
    Ti trovo io piccola, ti riporto a casa io, questi incompetenti si lasciano scoraggiare dal primo fallimento ma PORCA MISERIA CHE QUEL PORCO MI STRAFULMINI ADESSO ti cercherò finché non cadrò a faccia avanti
    La pioggia continuava a cadere fitta e silenziosa, fredda e violenta.
    Ripresero le ricerche la mattina dopo, durarono per tutto il giorno e coprirono un’area abbastanza vasta. Setacciarono ogni millimetro possibile ma, a mezzanotte, ancora niente.
    Martin era sempre più nervoso, impaurito. Ma non perdeva la speranza e la fiducia: sapeva che la avrebbero ritrovata era questione di ore.
    Anche il giorno seguente, domenica, fu dedicato alle ricerche alle quali, come sempre, presero parte sia Martin che Ryu. A casa rimasero i componenti restanti della famiglia e anche Michael e Thomas, i genitori di Martin, i nonni di Valérie.
    La cercarono anche lunedì.
    Tre giorni e mezzo di ricerche eppure niente, neanche una traccia della ragazza. Tutti già pensavano il peggio, anche Martin sotto sotto lo temeva: era di routine che una donna venisse uccisa il giorno stesso della scomparsa. Martin non poteva pensarlo però, nessuno era in grado di farlo, nessuno in grado di immaginare quello che poteva aver subito, quale violenza: era uno strazio troppo insopportabile.
    Lui si sentiva perseguitato. Ne parlò anche con Ryu, poi con i suoi genitori. Aveva l’impressione che tutto ciò che lo poteva tenere collegato al suo passato, al passato da etero, dovesse essere cancellato. Come se fosse uscito fuori dal suo destino, come se avesse fatto di testa sua contro il percorso già stabilito per lui ricongiungendosi con Esti, e il destino si fosse dunque rimboccato le maniche per rimettere sui binari il treno che aveva deragliato: prima Esti, ora Valérie. E poi? Chi altri?
    Martin, ascoltami
    No non ti voglio ascoltare
    Martin ciccò con la sigaretta in un posacenere di cristallo poggiato sul bracciolo destro della poltrona in soggiorno.
    Martin
    Ti ho già detto CHE NON TI VOGLIO ascoltare Ryu, oh cazzo. Lasciami in pace.
    Ryu sospirò e guardò fuori dalla finestra: ancora pioveva e fuori la luce era bianca e neutra.
    Invece mi ascolti. Devi smetterla con questi pensieri. Non sei perseguitato, tu non sei uscito fuori da nessuno schema prestabilito e nessuno o niente, vedila come ti pare, sta ripareggiando i conti. Martin, Valérie sta là fuori, la troveremo, forse ci vorrà altro tempo, chi sa mesi, ma tornerà a casa.
    Invece no
    Come fai a dirlo
    Chiese Ryu senza dare l’intonazione alla sua domanda
    Lo sento.
    Cosa sei diventato, un medium?
    No. E non farmi queste domande a cazzo Cristo di un Dio.
    Aspirò con avidità dalla sigaretta: non fumava da quindici anni, da quando Esti era morta.
    Ryu osservò il posacenere che guardò con tristezza
    Martin, lo so che stai male. Sto male anche io, credimi. Stiamo male tutti. Ed è giusto che tu sfoghi la tua preoccupazione e le tue ansie. Ma non puoi fare così, devi rimanere lucido. Razionale.
    Lucido…razionale…ma che ne sai te?
    Rispose Martin gesticolando verso di lui (Mr White style xD)
    Non ho voglia di essere razionale, perché la razionalità non porta da nessuna parte, non aiuta. Vaffanculo
    Disse rivolgendo l’insulto a qualcosa di non meglio definito, ma di certo non a Ryu.
    Così dunque Ryu gli prese la mano e non disse altro per un po’. Martin la strinse, ma guardava altrove.
    Riposati Martin.
    Martin scosse la testa, aspirò di nuovo dalla sigaretta e la spense. Intanto continuava a dissentire con la testa, i capelli spenti ciondolarono un po’ anche quando si fu fermato.
    Non posso. Devo essere sveglio e vigile.




    Oh cazzo
    Ray Stewart era un modesto cittadino statunitense originario del Kansas. Aveva trascorso la sua infanzia e giovinezza a Kansas City ed ora, uomo di mezza età stanco del lavoro, si dedicava al suo terreno nel Sunflower State (Kansas). Non aveva una grande ed appassionante storia da raccontare: le sue giornate erano impregnate di routine. Sveglia all’alba, lavoro al campo, amici, riposo davanti alla televisione e letto. Ma dal pomeriggio di quel 27 ottobre finalmente Ray poté impressionare i suoi nipoti con un episodio della sua vita.
    Il 24 ottobre, proprio il venerdì prima, aveva comunicato alla moglie che avrebbe intrapreso un viaggio in piena solitudine, per “mettere un punto alla propria esistenza, cercare di capirci qualcosa”. Salito sul suo Pick up aveva cominciato a girare senza una meta precisa, senza una scadenza: “tornerà a casa?” si chiese la moglie mentre osservava l’uomo col quale aveva vissuto una vita andarsene.
    Ma i giochi del destino sono tanti e vari. Infatti il suo cerchio andò ad incastrarsi proprio con quello di Valérie.
    Mentre la strada statale New Yorkese scorreva sotto le robuste ruote del suo veicolo, mentre Ray cantava con moderato tono una canzone che aveva scelto, così, all’improvviso, il suo sguardo cadde su una bicicletta per metà infossata e per metà visibile, una ruota deformata e penzolante. Con aria sbalordita si ammutolì e piantò gli occhi sulla bicicletta: un incidente stradale non segnalato? Parcheggiò il pick up in una piazzola di sosta a circa 300 metri più avanti. Scese dalla macchina e si fece strada contro il vento compatto e freddo del dopo-pioggia, stringendosi nella sua giacca impermeabile double face: fuori beige, dentro blu.
    Oh cazzo
    Dopo aver esaminato la bicicletta distrutta si accorse improvvisamente di Valérie che, nell’umido prato, poco più avanti, giaceva svenuta completamente bagnata dalla pioggia fredda, in una strana posizione ma supina.
    Ray non poteva credere ai suoi occhi.
    Ehi ci sei? Oh-ooh?
    Richiamò la ragazza che non si mosse.
    Si sfregò la barba rinascente e dura e si guardò attorno: che fare?
    Intanto si decise a non toccarla: palesemente vittima di un incidente era meglio non smuovere niente per non correre rischi, come gli avevano insegnato al corso di pronto soccorso al lavoro, anni prima.
    Vado a chiamare un’ambulanza
    Disse ad alta voce, forse rivolto anche a Valérie.
    Corse alla sua macchina col cuore frastornato: di certo non si aspettava che nel suo viaggio di meditazione, pace e calma potesse palesarsi un evento del genere. Dunque chiamò i soccorsi che arrivarono un po’ tardi, essendo lui e Valérie sulla statale.
    Lo costrinsero a seguirli all’ospedale “per testimoniare”: cosa non si sa, visto che l’incidente non era accaduto in quel momento. Ma Ray non fiatò e li seguì senza opporsi, non avrebbe avuto senso fare altrimenti. Ormai nell’affare c’era dentro.





    Ryu corse al telefono, che non squillava da giorni ormai.
    Oh eccomi!!!!
    Esclamò a fine corsa. Martin aveva fatto la sua tempestiva comparsa accanto a lui ansioso di sapere chi fosse. Aggrappato al divano, lo stringeva talmente tanto che Ryu era certo lo avrebbe bucato.
    Pronto
    Buonasera parlo con casa Blunt-Bangalter Yamamoto?
    Ryu guardò Martin prima di rispondere, corrugando le perfette sopracciglia. Una voce di un uomo che chiedeva di loro: c’era da preoccuparsi? Forse sì.
    Sì, chi parla?
    Sono del Lenox Hill Hospital di New York abbiamo trovato questo numero di telefono nel cellulare di Valérie Blunt-Bangalter Yamamoto, che è stata portata qui circa trenta minuti fa
    Ryu impallidì improvvisamente per aver sentito il nome della figlia. Guardò Martin che sbiancò a sua volta, ignaro di ciò che Ryu aveva sentito.
    Ma inso...cosa? Valérie ha detto?!
    Ma sì, abbiamo sbagliato numero?
    Ryu guardò di nuovo Martin, poi di fronte a sé.
    Come sta
    E’ stata trovata da un uomo sul ciglio della strada, in un fossato per l’esattezza: entrambe le gambe, il braccio sinistro e il collo rotti ma la colonna vertebrale è intatta. Niente conseguenze gravi
    Ryu finalmente respirò e si accasciò sul divano. Martin gli strappò il ricevitore di mano
    Pronto? Pronto?! Sono Martin Blunt-Bangalter!! Chi parla?!
    Il paramedico dall’altro capo restò interdetto, ma poi giunse alla conclusione che l’interlocutore era cambiato, così ripeté quanto detto fino a quel momento.
    OH MIO DIO. OH-MIO-DIO! GRAZIE! GRAZIE PER AVER CHIAMATO ARRIVIAMO IMMEDIATAMENTE!!!!!
    Esclamò piangendo dalla felicità, il cuore evaporato. Agguantò un Ryu inerte con così tanta forza da tirarlo su
    OH Ryu!!!!!! RYU E’ VIVA!!! Andiamo!!! Corriamoooo!!!
    Esclamò precipitandosi alla porta e uscendo.
    Ryu si riprese, scrollò la testa ma non seguì subito Martin: andò piuttosto ad avvertire Daniel. Prese anche Kymo e mentre usciva chiamò tutti i restanti membri della famiglia.
    Martin era scomparso, probabilmente si era già materializzato all’ospedale. Fece lo stesso.







    “Ma no, non c’è bisogno che vi scomodiate. Va bene così, io-io sono contento per vostra figlia, spero si rimetterà presto” aveva detto Ray a seguito della proposta di Martin di accettare un dono, una qualsiasi cosa, per ringraziamento e riconoscimento. Un umile cittadino come lui era andato a scontrarsi con i destini di simili milionari VIP: probabilmente nessuno ci avrebbe creduto, o forse sì, visto che sarebbe stata la prima avventura che avrebbe raccontato, probabilmente anche l’ultima.
    La gioia per il ritrovamento di Valérie, non intatta ma sicuramente salva, aveva infestato gli animi dei suoi familiari e dei suoi amici che con affetto le rimasero attorno i primi giorni all’ospedale. Certo Martin volle parlare con la figlia, così come Ryu, per sapere cosa l’avesse spinta ad arrivare fino a lì: ma Valérie non aveva voglia di parlarne. “Non ora”, diceva. Su richiesta di Martin la ragazza venne trasferita in un ospedale magico dove la terapia venne accelerata grazie agli incantesimi e alle pozioni. Nel giro di due settimane quindi, che ci si posa credere o meno, la ragazza era in piedi, in ottima forma, e camminava e correva. Tornò a scuola ad Hogwarts riaccolta con calore dai suoi nuovi amici, e riprese a frequentare le lezioni con lo stesso-moderato-impegno di sempre: ora però doveva rimettersi in paro con le spiegazioni e i compiti persi. Nonostante tutto non aprì bocca con nessuno sul perché quella sera si fosse allontanata così tanto, né si interrogò sul perché, invece di pedalare e cacciarsi in quel guaio, non avesse utilizzato la bacchetta per materializzarsi a casa impiegando così meno tempo e spostandosi in totale sicurezza.
    Il destino è fin troppo complicato
    Si disse mentre camminava diretta a casa dell’amica, di Denise, due mesi più tardi. La scuola scozzese aveva già terminato le lezioni ed erano così cominciate le feste di Dicembre. Valérie era tornata a casa, in vista soprattutto della presentazione della console del padre Ryu che avrebbe avuto luogo a fine mese.
    Evidentemente doveva andare così. Gli ingranaggi continuano a muoversi. Deve esserci un punto di arrivo in questa storia
    Ehi Vale
    Denise la accolse alla porta, sorridendole amabilmente: Valérie scorse sul volto dell’amica un velo di stanchezza, le sembrava uno straccio strizzato ma nonostante tutto riusciva sempre a mantenere un livello di pulizia e carineria veramente alto.
    Ciao Denise…
    Ne è passato di tempo…dai entra
    Chiuse la porta alle spalle di Valérie che subito si trovò come inglobata in una grande e densa bolla d’aria. Non seppe perché, ma non si tolse il cappotto: sentiva che non era il caso di farlo.
    Denise salì al piano di sopra, dove stava la sua camera, e Valérie la seguì muta, come al solito.
    Allora, come stai? E’ dagli inizi di novembre che non ti vedo
    Valérie sorrise appena mentre, ferma vicino al letto, osservava l’amica chiudere la porta
    Sto bene adesso, grazie. Mi spiace se questo periodo non mi sono fatta sentire molto, ma a scuola, credimi, ho avuto davvero molto da fare….
    Denise chiuse gli occhi e fece cenno con la mano destra a Valérie di non preoccuparsi
    Tranquilla
    Rispose sedendosi sul letto.
    Ne ho avute anche io di cose da fare questo periodo…
    Aggiunse stendendo la schiena e stirandosi un po’, guardando il cuscino.
    Valérie rimase in silenzio: l’atmosfera in camera era davvero surreale
    Come stai Denise? C’è qualcosa che non va? Ti vedo strana
    Denise non rispose subito, piuttosto si tirò indietro per stendere anche le gambe, e abbracciò il cuscino che stava guardando da qualche secondo. Vi affondò il volto e inspirò forte.
    Questo cuscino è molto speciale
    Cominciò dunque. Valérie, immobile, le mani in tasca sempre di fronte al letto la osservava e la ascoltava tesa.
    Tutto è molto speciale, per me, in questa stanza. Lo è da qualche mese a questa parte. Da cinque mesi.
    Entrambe rimasero in silenzio, Denise rimase aggrappata al cuscino.
    Mi sembra ieri….
    Le sentì dire Valérie, ma solo perché aveva attizzato le orecchie. Inspirò forte ma in silenzio.
    Denise si mise seduta sul letto, continuando a carezzare con lentezza il cuscino, sorridendogli come se fosse il volto di una persona, di un essere umano.
    *Di Masahiro*
    Pensò Valérie con una fitta che le fulminò le viscere.
    Su questo letto..qui sopra è stata la mia prima volta con Masahiro Valèrie. Non te lo avevo mai detto. Ma ora mi sembra la cosa più sensata da dire.
    Disse con aria triste senza guardare l’amica in faccia.
    Valérie si sentì strattonare con violenza per il cappotto ma non si mosse. Trattenne il respiro.
    E’ stato così…così..unico. Bellissimo. Lui era reale. Se ne stava qui seduto sul bordo del letto mentre si toglieva la maglietta, io invece stavo proprio dove stai ora te, incantata, a guardarlo sbalordita, e così
    Basta
    Valérie interruppe l’amica, tesissima, nera in volto. Gli occhi si erano scuriti da soli.
    Non voglio che mi parli di queste cose ok? Non me ne frega niente, non me ne frega proprio un cazzo se vuoi saperlo
    Cominciò Valérie con aria arrabbiata e scocciata mentre l’amica, come ripresasi dal suo sogno ad occhi aperti bruscamente interrotto, la guardava sconcertata e confusa
    Ma Vale io
    “Ma Vale io” cosa? Sei sorpresa? Sei stupita? Male. Tu non hai il diritto di parlarmi in questo modo, non ce l’hai, chiaro!? Mi hai portato via Masahiro, lui era mio, di nessun’ altra! E invece sei arrivata te e te lo sei spupazzato fin dentro al letto. E con quale coraggio vieni a raccontarmelo, come se fosse una cosa dolce e romantica! Ma non ti vergogni?!!?
    Denise era sempre più sconvolta. Si guardò attorno confusa
    Ma che dici? Valérie tu Masahiro non me lo hai mai nominato! Ti rendi conto!? Non puoi accusarmi di queste cose!
    E nemmeno tu me lo hai mai nominato,se proprio vogliamo dirla tutta! E non hai nominato me a lui. E lui non ha nominato né te a me né me a te. E’ uno stupido triangolo Denise, uno stupido triangolo che si è costruito da solo, anzi, che ha costruito il nostro orrendo destino che non si sa per quale SCIOCCA casualità ha deciso di prendere questa strada.
    Tu stai straparlando
    Può darsi. Ma rimane comunque il fatto che te lo sei portato via tu. Come tutti. Come tutti gli altri, li hai presi sempre tu senza lasciarmi mai un attimo d’aria. Mi hai anche messa in cattiva luce più volte scherzando su di me-che ti credi che non me ne sono accorta?- e l’hai sempre avuta vinta. Sei contenta ora? Eh? Sei CONTENTA?
    Valérie!!!
    Esclamò Denise un po’ spaventata
    Valérie io e Masahiro ci siamo lasciati
    Valérie si interruppe: era da intuire vista l’aria con cui l’aveva accolta in casa e visti i discorsi che aveva cominciato.
    Cosa?
    Denise annuì in silenzio, chiudendo gli occhi tristemente.
    Sì. Ci siamo lasciati una settimana dopo le tue dimissioni dall’ospedale
    Valérie strinse i pugni lungo i fianchi e ascoltò. Ma Denise aveva esaurito le parole
    Perché vi siete lasciati?
    Denise si strinse nelle spalle, scosse la testa, e non rispose.
    Questo non cambia le cose. Voi due avete agito alle mie spalle, avete fatto le cose in segreto. Sei la mia migliore amica Denise, perché non mi hai mai detto niente di dettagliato?
    Perché..perchè tu non me l’hai mai chiesto
    Rispose l’amica. A quelle parole Valérie fu colta da una -nuova- improvvisa ondata di rabbia e abbandonò la stanza e la casa di Denise. Si chiuse la porta alle spalle, anche se consapevole di non avere poi tutta la ragione del mondo.
    Spinta da una corrente immaginaria si materializzò a Times Square e raggiunse a piedi l’appartamento dove viveva Masahiro con i suoi.
    Trillò con insistenza al citofono, subito le venne aperto.
    *Strano*
    Pensò Valérie entrando velocemente nel grattacielo.
    Salì fino al decimo piano-sapeva a che piano abitava il ragazzo-, Masahiro la attendeva sulla porta.
    Scese dall’ascensore e lo guardò ferma immobile ma arrabbiata. Come se fosse stata la cosa più naturale del mondo trovarsi lì, come se si fossero dati appuntamento.
    Masahiro fece entrare Valérie in casa senza aprire bocca. Era incredibilmente bello e pulito, e si muoveva con una leggerezza ma al contempo con una decisione da lasciare stupiti.
    Ciao
    Le disse dopo un po’. Valérie, come se conoscesse già perfettamente la casa, avanzò decisa senza rispondergli fino alla sua stanza. Lo aspettò lì.
    Allora?
    Chiese.
    Allora cosa?
    Anche Masahiro era strano. Aveva una luce diversa nello sguardo.
    Nei corridoi del grande appartamento risuonarono le loro frasi secche e brusche.
    Come sarebbe a dire. Esigo delle spiegazioni
    Masahiro sospirò affaticato.
    C’è stato un grande fraintendimento di fondo, Valérie
    La ragazza sorrise ironica spalancando un po’ le braccia e guardando il soffitto
    Grazie della puntuale osservazione
    Senti non lo so. Non riesco a capirci niente, sono settimane che ci penso e ci ripenso. Spiegazioni razionali, non ne ho trovate se è quello che volevi sapere
    Valérie rimase in silenzio: non faceva caso a quanto fosse incredibile il fatto che si stessero intendendo sull’argomento senza aver minimamente introdotto la cosa. Come un discorso lasciato in sospeso.
    Non ho bisogno di spiegazioni razionali. Ho bisogno di una spiegazione, punto.
    Calò il silenzio.
    E’ così che doveva andare. Nessuno sapeva che strada stava prendendo e l’abbiamo proseguita senza farci e fare domande, ognuno per i fatti suoi, come per non rompere un equilibrio che era stato costruito a forza. Abbiamo proseguito al buio per parecchio tempo, ognuno con la sua misera lanternina che appena illuminava i propri passi, senza avere neanche una vaga idea su come potesse essere e dove andasse la nostra via sterrata. E alla fine le nostre strade si sono incontrate e noi ci siamo venuti addosso. E’ così che andata, lo so. Lo sento. Era giusto che tutto cominciasse così, e ci finisse anche.
    Valérie lasciò che le parole del ragazzo aleggiassero per la stanza: poteva vedere i caratteri da lui pronunciato colorarsi sulle pareti con un debole lillà e un verde un po’ scuro, spento.
    Che ci finisse anche?
    Masahiro annuì
    Quindi secondo te era necessario che io dovessi venire investita da un’auto in corsa
    Masahiro annuì di nuovo.
    Sì. Perché quel fatto ha cambiato le cose. Doveva accadere affinché si sbloccasse qualcosa
    Valérie cercò di decifrare il messaggio.
    Io ci ho sempre creduto, Masahiro. Ci ho creduto fin dalla prima sera in cui ti ho visto, dopo tanti anni: era passato talmente tanto tempo dall’ultima volta che ti avevo visto che avevo completamente rimosso il tuo volto, il tuo nome. Chi sa perché. Come per ricominciare tutto da capo. Siamo stati insieme tutti i giorni, ci siamo conosciuti, abbiamo parlato, abbiamo scherzato e ragionato insieme. Tu mi hai presentato alcuni tuoi amici e io ho fatto lo stesso con te.
    Masahiro la ascoltava in silenzio
    Ero tanto così da te capisci, tanto così
    Riprese Valérie
    Io ti volevo, ti volevo a tutti i costi. Ti ho sognato tutte le notti, ti ho immaginato tutti i giorni, ti ho pensato. Ero convinta che anche tu provassi la stessa cosa per me, che anche tu non passavi un minuto della giornata senza pensarmi, senza sognarmi. Ma che ne sapevo io, sono una poveraccia, una povera illusa. Tu intanto te la facevi con Denise e io non sapevo niente. Niente. Non me l’hai mai neanche nominata: perché!? Perché!? Io ho avuto così modo di pensarti da solo e innamorato. Era stato un colpo di fulmine per me, il primo nella mia vita. Io ti aspettavo. Ma non c’è stato niente da fare.
    Scosse la testa. Rimasero in silenzio, un silenzio tesissimo.
    Ma d’altronde, cosa credevo? Che ti decidessi ad abbracciarmi? Magari a baciarmi? E come? Come se avevo inconsciamente costruito attorno a me una gabbia di vetro?
    Non capisco
    Disse masahiro disorientato. Valérie annuì
    QUESTA gabbia di vetro
    La ragazza indicò con forza il proprio corpo
    Questa gabbia di vetro, questa finzione che ho frapposto tra la vera me e il mondo reale. Un clone venuto bene, molto bene, che supera di gran lunga l’originale. E tu infatti prima lo hai intuito e poi ne hai avuto la certezza che quello che vedevi non era altro che finzione. Finzione finzione finzione. E’ per questo che mi hai ignorata vero? E’ per questo che ti sei tirato indietro? E io che continuavo a sistemare ogni minimo difetto per apparire più bella ai tuoi occhi!!!
    La gola di Valérie si stava scaldando e seccando, nonché chiudendo: era un tasto doloroso per lei.
    Tutti vanno cercando la perfezione e poi quando la trovano scappano. Perché non è naturale. Mette paura. Anche Denise era una metamorfomagus, ma lei mica abusava dei suoi poteri. Mica ABUSA, utilizziamo il presente.
    Masahiro la guardava sconvolto
    Dopo che i caratteri furono scomparsi dalle pareti Valérie si tolse lo zainetto di spalle e cominciò a sbottonarsi il cappotto con decisione.
    Lo buttò per terra bruscamente, incurante del suo valore.
    Sai cosa allora? Eh? Non ho più niente da perdere. Voglio che tu mi veda così come sono realmente.
    Disse seria.
    Masahiro non sapeva bene che fare, se ne stava lì impalato ad osservare i suoi gesti dall’alto della sua altezza, col cuore impazzito.
    Valérie si tolse le scarpe, poi i jeans e infine il grande maglione. Rimase in biancheria. Masahiro era più shockato che mai e non riusciva a muovere un muscolo. Seppe solo sedersi sul letto sconvolto.
    Stai a guardare il motivo per cui ho costruito la gabbia
    Disse Valérie con tono più abbattuto.
    Sciolse le sue modifiche lasciando spazio al suo vero aspetto, che aveva modo di liberarsi soltanto di notte, sotto le coperte, lontano dagli sguardi di tutti.
    Le forme di Valérie cominciarono a prendere una consistenza diversa: ciò che non c’era venne sostituito con gradualità da altro, ma il tutto avvenne così lentamente che nemmeno si poté notare il cambiamento immediatamente.
    Rimasero in silenzio, Valérie respirava rumorosamente, offesa da non si sa bene cosa. Era lì, in mezzo alla stanza, seminuda ma se stessa. Masahiro seduto sul letto non poteva credere a quello che Valérie aveva fatto davanti ai suoi occhi. Non emise un suono, non pronunciò una parola. Così Valérie avanzò decisa verso di lui, fuori di sé ma stranamente calma.
    Allora, hai capito perché?
    Chiese non riferendosi più alla gabbia. Masahiro lo sapeva.
    Gli prese una mano ma prima che potesse poggiarla da qualsiasi parte del suo corpo, Masahiro si irrigidì e con delicatezza ritirò la mano.
    Aspetta.
    Disse soltanto. Valérie lo guardava curiosa e tesa, cercando di immaginare cosa stesse correndo nella mente del ragazzo. Senza dubbio così la ragazza era molto invitante agli occhi di Masahiro che lasciò scorrere senza fretta il proprio sguardo sulla carne all’apparenza così morbida di Valérie che con dolcezza le disegnava i fianchi e il seno. Avrebbe voluto afferrarla e stringerla forte a sé e magari dopo baciarla su tutto il corpo. Ma era come di ghiaccio. La vista della ragazza così conciata lo stava mandando fuori gioco: stava alimentando quella strana corrente che già da un po’, assopita, di aggirava nel suo corpo.
    Io e Denise ci siamo lasciati
    Le disse guardandola dal basso.
    Lo so.
    Masahiro le guardò la pancia così dolce, poi tornò a rivolgerle lo sguardo.
    Ma è stata una cosa strana
    Valérie non si mosse.
    La sera del 24 ottobre, quella in cui sei scomparsa…io mi sono sentito così strano da avere la sensazione di vivere in due mondi diversi contemporaneamente. La tua corsa mi aveva lasciato un vuoto doloroso. E poi Denise mi ha chiamato in lacrime dicendomi che non eri a casa e nessuno sapeva dove ti trovavi. Sono stato con lei per tenerle compagnia in un momento così duro: ma non aveva idea di quanto la tua misteriosa e preoccupante assenza stesse distruggendo l’anima anche a me. Poi ti hanno trovata. E quando ti ho vista all’ospedale è scattato qualcosa.
    Non trovava le parole per continuare così rimase in silenzio ragionandoci sopra.
    Ho cominciato a pensare. Perché eri scappata via così? Perché eri stata investita? Come ti avevo conosciuta, e quando? Cosa abbiamo fatto insieme, cosa ci siamo detti, come ci siamo guardati? Avevo capito tutto, e così mi sono sentito diverso. Ma come se mi fossi scisso in due parti, una incapace di credere alla scoperta, l’altra come se l’avesse sempre conosciuta.
    La ragazza fece un passo indietro
    Ho lasciato passare un giorno, due, una settimana, finché non ho raggiunto un accordo tra le due parti. E così ho deciso di lasciare Denise
    Valérie lo guardava stranita
    Cosa intendi dire con questo?
    Masahiro si alzò dal letto
    Beh io
    Guardò la ragazza per un istante negli occhi, poi tornò a guardare a terra
    Ho avuto un’illuminazione ecco. Ho collegato gli avvenimenti e ho notato con meraviglia che i nostri destini si erano incrociati, e che nessuno aveva detto una parola sull’altro proprio per arrivare a questo punto. Per arrivare alla mia scissione, alla serratura che è scattata.
    Valérie lo guardava sbalordita. Poi, come se venisse richiamata da qualcuno, si guardò intorno improvvisamente e si rese conto di come era rimasta. Corse a rindossare i vestiti viola in volto per la vergogna: intanto si modificava di nuovo per calzare al meglio gli abiti.
    Devo andare
    Disse infine riemergendo da terra, con i capelli un po’ scompigliati.
    Masahiro la guardava stupito e forse un po’ deluso per non aver completato il discorso. Ma ormai se ne era fatto una ragione
    E’ così che deve andare
    Disse a bassa voce tra sé e sé.
    Valérie uscì dalla stanza e poi dall’appartamento. Masahiro era solo in casa, di nuovo.
    Valérie!
    Richiamò la ragazza dopo essersi precipitato fuori dalla porta di casa. Lei scendeva le scale, quando avrebbe potuto tranquillamente utilizzare l’ascensore: chi sa perché ma in determinate occasioni il cervello (o il destino) di Valérie la faceva agire nel modo meno comodo, pratico e veloce.
    Si bloccò sui gradini, era all’ottavo piano ma sollevando lo sguardo riuscì a vedere Masahiro aggrappato al corrimano del suo piano. Quello si precipitò di sotto fino a raggiungerla: respirava affannosamente più per la decisione affrettata che per l’effettiva corsa.
    Le diede un bacio sulla guancia.
    Valérie divenne bollente e rossa, ma non disse niente. Guardò a terra.
    Gomennasai
    Le disse piano Masahiro. Lei lo guardò con aria interrogativa
    *Perché ti scusi?*
    E Masahiro, come se le avesse letto nel pensiero, sorrise e si scostò i capelli dal volto che correndo gli erano finiti davanti agli occhi: profumava tantissimo ed emanava un alone di calore tiepido. Il suo maglione era molto morbido all’apparenza.
    Insieme, come se si fossero accordati, si avvicinarono l’uno all’altra e si sfiorarono con le labbra. Quello era il primo bacio di Valérie.
    Ma lei scappò via mentre lui rimase sulle scale dell’ottavo piano a sentire i suoi passi disordinati farsi eco nell’aria circostante. Quando ogni traccia di Valérie fu evaporata, tornò nell’appartamento.
    Nel tardo pomeriggio una liberatoria e violenta pioggia si abbattè su New York e dintorni: forse anche questa era un’altra manovra del destino?
     
    .
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